Estradizione verso la Turchia e rispetto dei diritti fondamentali – la Cassazione annulla con rinvio
Si segnala la sentenza n. 15109 della Sesta Sezione, depositata il 16 aprile 2025 (udienza del 12 marzo 2025), con cui la Corte si è espressa in merito all’estradizione verso la Turchia e al rispetto dei diritti fondamentali della persona richiesta in estradizione.

Nel caso in esame la Corte di appello di Roma aveva dichiarato sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione presentata dall’autorità turca per dare esecuzione a quattro mandati di arresto, emessi dal Tribunale Penale di Istanbul, nei confronti di B.B., indagato
nell’ambito di diversi procedimenti penali nello Stato richiedente per delitti di criminalità comune (associazione per delinquere, omicidio volontario, rapina con armi da fuoco) accertati in Turchia negli anni 2022 e 2023.
I giudici di legittimità, nell’annullare con rinvio il provvedimento impugnato, hanno sottolineato che l’autorità giudiziaria italiana, pur essendo chiamata a svolgere una sommaria delibazione, ai sensi dell’art. 705 C.P.P., delle ragioni che rendono probabile, sulla base degli atti presentati e del contenuto della richiesta di estradizione, l’esistenza di elementi a carico dell’estradando in relazione ai reati contestati, ha comunque l’obbligo di esaminare la specificità delle accuse e delle fonti di prova.
Con particolare riferimento al tema del rispetto dei diritti fondamentali dell’estradando in Turchia e alla conformità del trattamento carcerario agli standard internazionali (che sarà concretamente applicato presso l’istituto penitenziario di Dumlu), numerose Autorità, sia nazionali che sovranazionali, si sono occupate dell’applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani nelle carceri turche e delle condizioni detentive riservate agli estradandi in quel Paese.
La Corte di Cassazione ha infatti già affrontato la questione sollevata dal ricorrente e altre simili, precisando che, in materia di estradizione passiva verso la Turchia, è necessario valutare concretamente, ai sensi dell’art. 705 comma 2 C.P.P., le condizioni di detenzione garantite alla persona richiesta.
Infatti, si legge nella sentenza, “dal tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, risulta formalmente sospesa in quello Stato l’applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani in quanto il Governo della Turchia, il 21 luglio 2016, con un comunicato ufficiale al Consiglio d’Europa, ha dichiarato di avvalersi della deroga prevista dall’art. 15 della citata Convenzione, cui aderisce come Parte contraente. Inoltre, successivamente, sono state riscontrate detenzioni arbitrarie e pratiche di tortura generalizzate all’interno delle strutture penitenziarie, che determinano un livello elevato di rischio di trattamenti inumani e degradanti, non per i soli detenuti politici, con limiti drastici ad una serie di diritti difensivi dell’imputato nel processo penale e con forte incremento dei poteri della polizia“.
La Corte rileva come tale situazione sia stata effettivamente confermata:
– “dalla Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 febbraio 2018 sulla situazione dei diritti umani in Turchia il cui § 6 esprime profonda preoccupazione “per le notizie di gravi maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti e invita le autorità turche a svolgere un’indagine approfondita su tali accuse; ribadisce il suo appello alla pubblicazione della relazione del comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura (CPT)”;
– dalla comunicazione della Commissione Europea sulla politica di allargamento dell’Unione Europea del 2020 in cui si evidenzia che la Turchia si è ulteriormente allontanata dall’UE per il notevole arretramento in ordine alle regole democratiche, allo Stato di diritto, ai diritti fondamentali e all’indipendenza della magistratura e si esprime preoccupazione per il gran numero di leader dell’opposizione, attivisti per i diritti umani, giornalisti, esponenti della società civile e rappresentanti del mondo accademico arrestati e posti in custodia cautelare in virtù della legislazione antiterrorismo;
– dal rapporto della Commissione Europea sulla Turchia del 30 ottobre 2024 che al § 2.2.1 (Capitolo 23: Magistratura e diritti fondamentali) ha dato atto come la Strategia di riforma giudiziaria 2019-2023 e il Piano d’azione per i diritti umani 2021 non affrontino appieno le gravi carenze del sistema giudiziario, l’assenza di indipendenza ed imparzialità della magistratura dal potere esecutivo, la mancanza del diritto ad un giusto processo, come evidenziato peraltro nei rapporti precedenti della medesima Commissione“.
Con riferimento alle condizioni carcerarie, sono emerse gravi criticità, tra cui segnalazioni di violazioni dei diritti umani, torture e maltrattamenti, spesso aggravate dalla diffusa impunità per i funzionari responsabili.
Sono stati denunciati anche l’uso eccessivo della forza da parte degli agenti di sicurezza, il trattamento discriminatorio nei confronti dei detenuti politici, il divieto prolungato di contatti con avvocati e familiari, l’arbitrario ritardo nel rilascio condizionato da parte dell’Amministrazione penitenziaria e delle Commissioni di osservazione, nonché l’uso della detenzione preventiva per reati legati alla libertà di espressione.
Nonostante questo quadro (acquisibile da fonti aperte e da siti istituzionali) – conclude la pronuncia – la Corte d’appello di Roma avrebbe escluso che l’estradando corra il concreto rischio di subire un trattamento disumano presso l’istituto penitenziario di Dulum valorizzando le indicazioni provenienti dal governo turco circa il regime cui sarà sottoposto in quella struttura, non superate da altrettanto dettagliate e mirate prove di segno contrario di organismi internazionali e associazioni relative a quel carcere.
Al contrario la Corte di Cassazione ha sostenuto che si tratta di conclusioni che non possono essere condivise alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia e, più recentemente, dalla sentenza della Grande Sezione del 18 giugno 2024.
Quest’ultima, al paragrafo 63, con specifico riferimento alla Turchia, ha evidenziato che lo Stato membro, di fronte a un rischio dichiarato di trattamenti inumani o degradanti, non può limitarsi a considerare esclusivamente le dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o la sua adesione a trattati internazionali che, in linea di principio, garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali.
L’autorità competente dello Stato membro richiesto deve basare la propria valutazione su elementi oggettivi, affidabili, accurati e aggiornati. Tali elementi possono includere, ad esempio, decisioni giudiziarie internazionali come le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente, nonché relazioni, documenti e decisioni predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o facenti parte del sistema delle Nazioni Unite (sentenze del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punti 55-59, e del 2 aprile 2020, Ruska Federacija, C-897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 65).
Su questi presupposti, alla luce delle sistematiche violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali perpetrate dalla Turchia negli ultimi anni, come confermato da autorevoli fonti indipendenti, istituzionali e non, sia nei confronti dei detenuti che delle persone appartenenti all’etnia curda o a partiti di opposizione, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio alla Corte d’Appello di Roma affinché raccolga elementi chiari e inequivocabili su entrambi i profili, con specifico riferimento al caso dell’attuale ricorrente.